Silvano Panunzio, tradizionalista paradigmatico

Immagine di alchimista, autore e periodo sconosciuti. Panunzio fu attento ed appassionato studioso del pensiero alchemico

Silvano Panunzio, eccellente figura di sapiente alla maniera antica che ebbe però la ventura di calcare i propri passi su questa Terra tra i secoli XX e XXI, è figura misconosciuta ai più.

Figlio di Sergio Panunzio, personale amico di Benito Mussolini, fra i maggiori esponenti della tradizione sindacalista rivoluzionaria italiana nonché ideatore ed estensore del concetto di “corporativismo integrale”, si laureò in Scienze Politiche nel 1941, permanendo poi altri 12 anni in ambiente universitario, prima come assistente, successivamente da professore incaricato.

Si era intanto, nel 1940, arruolato nella Regia Marina – giungendo al grado di Sottotenente di vascello – rendendosi protagonista di coraggiose azioni guerresche nel Mediterraneo, per le quali verrà insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia. Dopo l’8 settembre ’43 tuttavia, non volendo prendere parte ad una guerra fratricida contro altri italiani, si congedò volontariamente.

Assieme al fratello Vito contribuì nel 1946 alla rifondazione di Pagine Libere, rivista di orientamento sindacalista rivoluzionario fondata nel 1906, le cui colonne avevano ospitato pure diversi articoli di loro padre, ma il successo non arrise loro: infatti la redazione, dopo altalenanti vicissitudini, chiuse definitivamente i battenti nel 1968, senza aver potuto contare su di un solo tentativo di salvataggio da parte dell’intellettualità in “quota nazionale”, poiché, si pensa, la rivista si era sempre mantenuta ideologicamente indipendente da qualunque esperienza politica e soprattutto aveva espresso le sue buone riserve inerentemente all’esperienza della RSI, le cui esistenza e azioni rappresentavano invece un quasi dogma per quelle fazioni. E poi, gli orizzonti cui mirava Silvano – pur avendo operato un magistrale “ritorno alle origini” nel 1996 con la quarta tappa del suo Corso di Dottrina dello Spirito, “La conservazione rivoluzionaria”, termini a prima vista antitetici ma già accostati da suo padre in diversi scritti – erano ben più ampi, e derivanti soprattutto dall’appassionato studio delle tradizioni metafisiche d’Oriente e d’Occidente cui aveva iniziato a dedicarsi fin dagli anni universitari.

Dopo che la sua carriera accademica venne bruscamente interrotta – il suo nome, anzi, cognome era troppo implicato col recente regime – ripiegò sull’insegnamento delle materie letterarie nei licei, ma nel 1975 venne richiamato a Roma (da Ferrara, dove era nato ed era tornato a vivere ed insegnare dopo l’esperienza universitaria alla Sapienza e qualche anno in un liceo romano) dal governo in carica presieduto da Aldo Moro, che intendeva avvalersi della sua cultura enciclopedica per la carica di addetto alla stampa estera presso la Presidenza del Consiglio. Quasi contemporaneamente, venne nominato anche addetto stampa del Comune di Roma, e svolse tali mansioni per circa un decennio.

Nel tempo libero che i suoi diversi lavori gli concessero, non smise mai lo studio e l’approfondimento delle Tradizioni, e quelli che principiarono come appunti, divennero una mole notevole di riflessioni scritte, con le quali contribuì al successo di diverse riviste, europee ed italiane – e tra queste non si puo’ omettere di citare L’Ultima, sottotitolata Rivista di poesia e metasofia, che ospitò pure scritti del Papini e la tuttora esistente Spiritualità e Letteratura – ,specializzate nello studio e trattazione della metafisica, del simbolismo e delle dottrine tradizionali. Decise però, nel 1975-’76, di far sentire più forte la propria voce de re: fondò quindi Metapolitica. Rivista del Regno Universale, pubblicata fino all’anno della sua morte, della quale è disponibile un bollettino (il Corriere Metapolitico) e i cui numeri più importanti sono stati recentemente riuniti in fascicoli (“I Quaderni di Metapolitica”), pubblicati dalle quasi omonime Edizioni di Metapolitica, e diede alle stampe “Contemplazione e simbolo. Summa iniziatica orientale-occidentale”, i primi due volumi del magnus opus che Panunzio decise di titolare, come sopra già ricordato, Corso di Dottrina dello Spirito. Nelle iniziali intenzioni dell’autore sarebbe dovuto constare di 22 libri, ma la sua scomparsa di il 10 giugno 2010 alla veneranda età di 92 anni, unitamente al continuo lavoro di cesellatura e perfezionamento degli scritti – «L’unità di misura di un autore tradizionale non è l’anno, bensì il decennio» amava ripetere – fecero sì che a vedere la luce siano stati 12 volumi, e nemmeno coi titoli originariamente pensati dall’autore.

Un giovane Silvano Panunzio

I leitmotiv della produzione panunziana – pure se gli interessi del nostro toccarono gli ambiti più disparati: alchimia, simbologia, studio delle lingue antiche e dell’etimologia, numerologia, astrologia… – possono essere generalmente considerati due, ma che racchiudono in sé le molteplici sue tensioni, ossia la ricerca di un senso al concetto di metapolitica, termine per la verità “coniato” da Panunzio padre – pur se con un senso meno spirituale e trascendente rispetto a quello che gli avrebbe in seguito assegnato il figlio – il quale per primo aveva avuto l’idea di una rivista da intitolarsi così, ma la morte, sopravvenuta nel 1944, gli impedì di mettere in pratica tale suo intento; e la risposta alla domanda: esistono una metafisica, un’iniziazione, un esoterismo in definitiva: una Tradizione autenticamente cristiani?

Per quanto concerne il primo punto, Panunzio ne tratta nel terzo e quarto volume del suo Corso, intitolato “Metapolitica. La Roma Eterna e la Nuova Gerusalemme” (1979), ove afferma: «La “Storia politica” è in funzione della “Storia cosmica”. Questa per l’appunto si sviluppa secondo tre dimensioni: la prima esteriore, la seconda inferiore, la terza superiore. Queste tre dimensioni si possono anche definire nel seguente modo: umana, infernale e celeste; visibile la prima, invisibile la seconda e la terza. Vi è però una invisibilità positiva e una negativa, creativa l’una, distruttiva l’altra». La prima dimensione – l’esteriore – è dunque quella della Politica pura, ossia quella tutta terrena del conflitto tra le parti; la dimensione infera è il campo della Criptopolitica, identificata dall’autore nelle forze invisibili che muovono i fili delle discordie politiche terrene. Infine, la dimensione superiore, “il piano celeste”, è ovviamente quella afferente il campo della Metapolitica, la quale ha compresenti in sé le tre dimensioni della Metafisica, dell’Escatologia e della Politica nel senso superiore del termine, ossia quella che, sospinta da forze divine, ha quale scopo ultimo l’ascesa ai piani superiori dell’esistenza. Eccellenti figure di metapolitici furono, per Silvano Panunzio: Platone, Sant’Agostino d’Ippona, San Tommaso d’Aquino, San Bonaventura, Dante, Giovan Battista Vico e Leibniz; poi De Maistre, Papa Pio XII e don Luigi Sturzo.

Al quesito, invece, risponde nel già citato “Contemplazione e simbolo”: la cristiana è “Tradizione paradigmatica”, spirituale punto d’incontro e “sintesi cattolica” (nel senso primigenio del termine, ovverosia: universale) tra le tradizioni induista arcaico/mitica (progenitrice diretta della greca, la quale, in unione con l’etrusca darà vita alla romana) ed ebraica, le più dense a suo parere di significati/significanti (per quanto faccia derivare direttamente l’ebraica da una tradizione ulteriormente antica, ossia quella egizia di stampo monoteistico “fondata” dal faraone scismatico Akhenaton). L’autore dunque, nella sua analisi – differentemente dai pensatori tradizionali par excellance Guénon ed Evola, pur nella diversità di posizioni anche fra questi due e tenendo presente che il nostro si trova più in accordo col primo che col secondo – non parte ab ovo, ossia dalla Tradizione Primigenia dalla quale sarebbero in seguito scaturite tutte le altre, ma non perché non ne riconosca l’esistenza, bensì perché ritiene che essa si sia “istituzionalizzata” nel Cristianesimo, e in tale Tradizione – poiché, appunto, paradigmatica – sarebbero, con la fine dei Tempi, confluite tutte le altre, chiaramente non per il tramite di un puro e semplice proselitismo, bensì attraverso un meccanismo di pensiero ispirato molto più elevato.

Alla luce di quanto fin qui detto, Silvano Panunzio fu inserito, anche se forse un po’ forzosamente, tra i numi tutelari della scuola di elaborazione politico-culturale degli anni Settanta conosciuta come Nuova Destra (anzi, Nouvelle Droite, essendo di fatto nata Oltralpe); lui e i suoi vennero considerati gli esponenti dell’ala cristiana del “movimento”, la minoritaria, contrapposta alla maggioritaria, guidata dal “fondatore” Alain de Benoist e di chiara tendenza neopagana.

Il nostro Panunzio fu uomo dalla cultura sterminata “ma di niuna accademia”, come amava ricordare al fine di sottolineare la propria indipendenza. E fu anche un cavaliere: nel 1959 infatti, dopo anni di gestazione, procedette alla fondazione dell’Alleanza Trascendente Michele Arcangelo, un manipolo di solitari cavalieri, erranti fra le spire del mondo moderno ma illuminati dalla luce interiore degli Ordini monastico-cavallereschi medievali, posto sotto la protezione del Comandante delle Milizie Celesti. E intrasentendo il Maestro di questi cristianissimi Don Chisciotte approssimarsi sempre più l’ora della propria fine, diede ai suoi sodali l’ordine di porre a chiusura del Corso di Dottrina dello Spirito il “Quaderno” in cui raccolse i princìpi dell’ATMA (esattamente: l’acronimo va a formare una delle traslitterazioni in alfabeto latino del termine sanscrito che sta per “essenza”, “soffio vitale”, “Sé”), dato alle stampe nella sua versione definitiva nel 2009, recante sul retrocopertina l’immagine di Maria Salus Populi Romani attribuita all’evangelista San Luca e pubblicato dalle Edizioni di Metapolitica.

E per concludere questa disamina su un personaggio del quale – io credo – mai si scriverà abbastanza, due parole sull’attributo di “maestro silente” col quale perfettamente si può identificare Panunzio. Egli il silenzio lo praticò convintamente – credendo che il massimo dell’illuminazione non potesse certo scaturire dalla parola parlata: «Non è per niente vero […] che il Pensiero abbia imperioso bisogno delle parole, ossia della espressione fonetica interna, per alimentare la sua vita ed essenza» – sia nella vita coniugale assieme alla consorte Matilde Vittoria Ricci, cui dedicò, a qualche anno dalla di lei scomparsa, il commovente “Matilde! Vita, morte e trasfigurazione di una Sposa Cristiana”, pubblicato dalla casa editrice senese Cantagalli nel 1997 (opera posta al di fuori del Corso e con in copertina lo splendido “Sposalizio della Vergine” di Raffaello Sanzio) , che in solitaria come Oblato benedettino in quel di Pescara, città ove si spense. Perché «La Parola e le Parole procedono dal Silenzio e ritornano al Silenzio». E nulla quanto questo silenzio sa parlare all’intimo, non però quello zuccheroso dei romanzetti, bensì quello che trascende la fisicità e ricongiunge all’Uno.