Il misterioso Gustav Meyrink, degno figlio della Mitteleuropa

La figura di Gustav Meyrink costituisce un unicum nell’ambito del mondo culturale esoterico.
Nato Gustav Meyer a Vienna nel 1868, si avvicinò all’occultismo per puro caso, senza esservi iniziato da parenti, amici, conoscenti o maestri: trovò infatti – probabilmente perduto da qualche garzone di libreria oppure fu segno del destino? – davanti alla porta del suo studio (dopo aver compiuto studi superiori nella locale scuola commerciale rimase a Praga, dove fu impiegato in un’azienda d’esportazioni) un opuscolo che trattava di spiritismo, occultismo e stregoneria. Il suo interesse fu talmente risvegliato da tali argomenti che si convinse a riporre la rivoltella che teneva in mano: aveva infatti poco prima preso la decisione di togliersi la vita.

Di ciò parla egli stesso ne Il mio risveglio alla veggenza, libello autobiografico che diede alle stampe intorno agli anni Venti del Novecento; sempre qui, ammette essere stati, per la prima parte della sua vita, essenzialmente tre i suoi interessi: le donne, gli scacchi, il canottaggio. E confessò essere stato proprio il tedio esistenziale causatogli da tale vita senza orizzonti che non fossero la giornata, a spingerlo sulla strada del suicidio. Successivamente titolare di una piccola banca privata denominata Primo ufficio del cambio cristiano, con sede in Piazza San Venceslao, nel cuore della Città Nuova di Praga, alla chiusura di questa (1902), Meyrink decise di dare una svolta completa alla propria vita, dedicandosi a tempo pieno alle attività di scrittore e studioso. Proseguì dunque la lettura di quanti più testi d’argomento occultistico/esoterico poté; iniziò a frequentarne anche gli ambienti, ma rimase prestissimo deluso, financo disgustato, dai personaggi con cui venne in contatto. Iniziò quindi ufficialmente l’attività di scrittura, componendo brani e saggi per riviste “del settore” (s’intende, ovviamente, occultistico ed esoterico) soprattutto austriache e bavaresi.

Dopo essere stata raccolta una prima volta in volume, tutta la produzione “giovanile” del Meyrink (pseudonimo che principiò ad utilizzare proprio per firmare i suoi scritti) venne definitivamente sistematizzata nei tre tomi (comprendenti anche pezzi inediti) intitolati Des deutschen Spiessers Wunderhorn (rendibile con: Il corno magico del piccolo borghese tedesco, Monaco 1913), solo parzialmente tradotti in italiano. Ma le opere che garantirono all’austriaco il successo – per quanto più che altro postumo: le tematiche affrontate non sono infatti certo popolari, e l’autore stesso ha sempre usato mantenere un aristocratico distacco dalla mondanità – cui comunque aspirava furono: Il Golem (1915), Il volto verde e La notte di Valpurga (1917), Il domenicano bianco (1922), L’angelo della finestra occidentale (1927). A parere di chi scrive è d’uopo spendere qualche parola almeno intorno alla prima e la quarta citate.

Locandina del film Golem (1915) diretto da Paul Wegener

Il Golem reinterpreta, in maniera per la verità abbastanza eterodossa, l’antica leggenda ebraica del gigante d’argilla (golem per l’appunto, termine che in ebraico moderno è venuto a significare anche robot) che può essere plasmato soltanto dai più potenti rabbini versati nella conoscenza della qabbaláh: gigantesco, dalla forza sovrumana ma privo di qualsiasi capacità intellettiva e perciò ubbidiente in tutto e per tutto al suo creatore, questo automa, cui dopo aver plasmato l’argilla di cui è composto si insuffla la vita pronunziando una combinazione di lettere alfabetiche, può essere impiegato come servo, addetto ai lavori pesanti o temibile protettore del popolo ebraico dai suoi persecutori. E secondo una leggenda posteriore, Judah Loew (vissuto tra Cinque e Seicento), sapientissimo Gran Rabbino di Praga (non dimentichiamo che Meyrink trascorse buona parte della propria vita nella città boema, i cui misteri ed atmosfere magiche ed esoteriche devono averlo certo influenzato) avrebbe tratto – con l’aiuto di un suo allievo e del genero – tale gigantesco essere dall’argilla del fiume Moldova, al fine di proteggere la popolazione ebraica praghese dai sempre più frequenti pogrom antisemiti da cui era colpita. Avendo perduto però talune volte il controllo di tale gigantesco essere e degli altri golem minori sempre da lui creati affinché gli fungessero da servitori, il rabbino, una volta ripresa definitivamente in mano la situazione (modificando la parola inscritta sulla fronte degli automi da “verità” a “morte”, che in alfabeto ebraico differiscono per un solo carattere) decise di smettere definitivamente di richiedere l’aiuto di tali esseri, occultandone i resti inanimati nella soffitta della Sinagoga Vecchia-Nuova di Praga, dove, secondo la leggenda, si troverebbero ancora oggi, aspettando di essere risvegliati da un altro sapiente del calibro di Rabbi Loew.

Il domenicano bianco è invece un romanzo che potremmo definire “di formazione spirituale”, iniziatico. La misteriosa figura che dà titolo allo scritto, infatti, si trova impegnata nell’annosa lotta contro la Testa di Medusa, simbolo della controiniziazione dei tempi moderni e della pseudospiritualità creata ad arte per gonzi e creduloni; suo scopo: riaffermare una concezione altamente eroica e spirituale dell’esistenza, anche mediante l’incontro con l’elemento femminile, essenziale alla restaurazione completa di un mondo che sia basato su altri ed alti princìpi. Quest’incontro maschile/femminile, chiaramente personalizzazione di quello che deve attuarsi tra discipline tradizionali occidentali ed orientali fu realizzato interiormente dal Meyrink, che negli ultimi anni di vita si convertì al Buddhismo. Sentiva di avere completato il suo percorso di conoscenza sulla Terra, e «Quando arriva la conoscenza, arriva anche la memoria», scrisse sul Golem.

Gustav Meyer detto Meyrink si spense a Starnberg, cittadina bavarese nei pressi di Monaco, il 4 dicembre 1932: avrebbe compiuto sessantaquattro anni poco più di un mese dopo, il 19 gennaio.