Il Diavolo veste Papini

In età senile, un ancora lucidissimo Giovanni Papini (1881-1956) pubblica Il Diavolo. Appunti per una futura diabologia (1953), un saggio sui generis, poiché non è agevole catalogarlo secondo le categorie tradizionali. Non è uno studio sul satanismo, né una raccolta di credenze e mitologie sul Demonio, ma non è neanche un’opera di teologia, né tantomeno un’elucubrazione metafisica sulle origini del “Male”. Di che si tratta quindi? Una mano ce la tende lo stesso Papini, il quale, in prefazione, delinea il suo manifesto di intenti: sbarazzarsi di tutti i pregiudizi (ivi compresi quelli religiosi) per indagare a fondo l’autentica natura del Demonio.

Dopo aver passato in rassegna le analogie tra il Diavolo e Dio – evidenziando l’esistenza di una “trinità diabolica” e l’onnipresenza del Maligno – il filosofo fiorentino approfondisce quello che egli stesso definisce come l’atto I della “tragedia” cristiana: la ribellione al Creatore. In particolare, mette in discussione un elemento ormai assurto a dogma di fede, ossia il fatto che Satana si sia ribellato a Dio per orgoglio, poiché voleva divenire simile a Lui. Complice di questa concezione non è solo l’opinione consolidata della Chiesa, ma anche l’immortale opera del Sommo Poeta, il quale spiega che «lo ‘mperador del doloroso regno» peccò di superbia proprio perché «contra ’l suo fattore alzò le ciglia» (Commedia, Inferno, c. XXXIV, vv. 28 e 35). Ebbene, rispolverando allora la ricostruzione accolta dai primissimi studiosi e dagli antichi Padri della Chiesa, Papini individua la causa scatenante dell’ammutinamento del Diavolo non già nell’orgoglio, bensì nella gelosia e invidia. Lucifero, il più perfetto tra gli angeli, era infatti geloso della neonata creatura: l’uomo.

Nel solco di tale lettura, Papini osa un qualcosa di più, spingendosi al punto di evocare un’altra dimenticata (e affascinante) teoria, secondo la quale il Diavolo – allora serafino portatore di luceavrebbe ardentemente voluto essere designato come “Cristo”, nel senso di divenire egli stesso Incarnazione del Verbo. Ma una volta conosciuti i diversi progetti dell’Altissimo, l’angelo si sarebbe rivoltato. Il che, a ben vedere, affievolirebbe considerevolmente le sue colpe: Satana non desiderava essere Dio, ma essere in Dio, divenendo primo partecipe dei suoi disegni. Ironia della sorte, egli fu mosso non già dall’odio, ma dalla carità!

Alexandre Cabanel, L’angelo caduto, 1847 (dettaglio)

Il focus dell’opera papiniana si sposta successivamente sull’immagine del Diavolo. Lungi dall’aderire a raffigurazioni mostruose, l’Autore de Il Diavolo appare incline ad accogliere una visione opposta. Dopotutto, sempre di un angelo (per quanto caduto) si tratta. Innanzitutto, viene fatto notare che Lucifero non fu privato delle sue sublimi ali di serafino. Lo si evince dalla terza tentazione di Gesù nel deserto, in cui si tramanda che Satana «lo condusse a Gerusalemme e lo pose sul pinnacolo del Tempio e gli disse: Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui […]» (Lc., IV, vv. 9-11). È chiaro che per averlo condotto con tanta rapidità a Gerusalemme e collocato sul più alto culmine del Tempio – osserva un attento Papini – doveva essersi spostato necessariamente in volo! Ma il Diavolo non solo conserva le ali. Difatti, è nientemeno che San Paolo a dirci che il Demonio può ancora liberamente acquisire l’(intero) aspetto di «angelo di luce» (2Cor., XI, v. 14).

Papini affronta poi dei temi collaterali alla diabologia: narrativa, poesia e musica, e tutte quelle forme d’arte suscettibili d’esser “indiavolate”. In questo interessante excursus culturale non possono mancare anche dei riferimenti alle diverse confessioni religiose. Merita qui un cenno Iblis, il Diavolo musulmano. È scritto nel Corano che Allah, compiaciuto d’aver creato l’uomo dal fango, impose ai suoi angeli di prostrarvisi. Iblis, che in quanto angelo era stato forgiato col fuoco, non obbedì, poiché considerava l’uomo un essere inferiore. Anche qui, come nella tradizione cristiana, segue l’inevitabile cacciata dal paradiso di colui che poi diverrà corruttore di uomini. Ma c’è una differenza che l’Autore tiene a sottolineare: Iblis si ribella (rifiutando di inchinarsi) per un senso di giustizia, non certo per gelosia o invidia, sentimenti indegni di un angelo. Non v’è infatti un rifiuto di adorare Dio, ma un rifiuto di adorare l’uomo.

Discorrere del Diavolo in tutte le sue sfaccettature non permette di esimersi dall’affrontare un sempre attuale tema etico (e teologico), quello del male necessario. Ecco che allora Papini si concentra sull’altro ambito di indagine già preannunciato in prefazione: i rapporti tra Diavolo e Dio. Il Principe delle Tenebre, creatura traditrice e menzognera, non era forse necessario (e addirittura previsto) nei disegni di Dio? Peraltro, una tesi simile Papini l’aveva già inserita ne I testimoni della Passione (1938), una raccolta di brevi racconti liberamente ispirata alla lettura dei Vangeli. Qui l’Autore, nell’immaginare il tentativo di corruzione di Giuda Iscariota da parte del Demonio (sotto le spoglie di un viandante sconosciuto), mise in bocca a quest’ultimo le seguenti parole: «Tu vendi Gesù e ti presti a farlo catturare unicamente perché egli possa vincere e regnare. Sotto le parvenze del traditore sei, in realtà, un eroico collaboratore del Messia». Ebbene, lungi dal voler affermare una pressoché blasfema complicità tra l’Altissimo e l’Angelo Caduto, Papini si convince dell’imprescindibilità della figura del Maligno.

Franz von Stuck, Lucifero, 1890

«Satana ha dunque un suo ufficio insostituibile, una sua missione provvidenziale. E in questo senso si può affermare che il Diavolo, per divina volontà, è un coadiutore di Dio. Satana è l’Avversario ma senza Avversario non ci sarebbe battaglia, senza battaglia non ci sarebbe vittoria e gloria».

Giovanni Papini, Il Diavolo.

Infine, in modo provocatorio – e fu forse soprattutto questo ultimo aspetto a far venire i capelli bianchi a diversi prelati (Il Diavolo venne infatti inserito nell’Index librorum prohibitorum, ossia l’indice dei libri proibiti dalla Chiesa cattolica) – Giovanni Papini veste letteralmente i panni dell’avvocato del diavolo e, assolutizzando e quasi esasperando i principi della redenzione cristiana e dell’Amore infinito di Dio, giunge a porre un interrogativo che rasenta i confini del paradosso: il Demonio, peccatore tra i peccatori, può anch’egli ambire al perdono divino e alla salvezza eterna?